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Scuola di professionismo


25 maggio 2010 - 28 agosto 2012




1983 o giù di lì. Dovevo cominciare a comportarmi da “imprenditore”, anche se mi trovavo ancora, nei primi mesi di lavoro continuo nella piccola azienda familiare, diciannovenne alle prime armi. Mio papà naturalmente cercava di delegare a me e a mio fratello qualunque attività allo scopo di farci crescere e quindi ogni volta che c’era un problema dapprima ci faceva vedere come lo risolveva lui e una seconda volta lo avrebbe fatto gestire a noi. Naturalmente a lui le cose più delicate "sembravano" facili, mentre per noi quasi ogni giorno era l'invenzione di un nuovo disastro. Macchine rimontate senza pezzi essenziali, lavaggi di parti meccaniche che non avrebbero mai più funzionato come prima, spreco di materiali e consumabili dovuto alla nostra inesperienza. Insomma, il duro apprendistato dalla gavetta. Così una bella mattina papà disse che era ora di pensare di stampare le bolle di consegna e le fatture, dato che le scorte erano agi sgoccioli. Sapevo che il nostro fornitore era una piccola ditta composta da due anziani signori, veri gentiluomini d’altri tempi, con cui mio papà era in rapporti di lavoro da quando era arrivato a Milano nel 1961. Io stesso li conoscevo da una vita e i due signori mi avevano visto bambino.

Mi documentai per benino sulle precedenti forniture che la ditta Zipo ci aveva prodotto negli anni precedenti, verificai i prezzi e fui pronto per discutere le condizioni. Naturalmente avrei cercato di ottenere un notevole sconto per fare il bene della ditta e per fare contento mio papà. Agguantai il telefono e composi sul disco il numero a sei cifre della ditta Zipo. Dall’altra parte rispose uno dei due gentili signori. Feci finta di essere calmo e tranquillo, in grado di gestire l’affare.

-          Ditta Zipo, buongiorno.

-          Buongiorno, sono C. “figlio”, della XJRK macchine per ufficio.

-          Ah, buongiorno signor C, "figlio"! In che posso servirla?

-          Ecco, mi sono accorto che mi stanno per finire le fatture. E anche le bolle di consegna, non è che me ne rimangano molte.  Tra poco mi serviranno anche quelle.

-          Bene, siamo qui per questo. Quante gliene occorrono?

-          Beh, prima di tutto vorrei sapere alcune cose. Quanto me le fa pagare mille fatture?

-          Eh, il suo prezzo!

Rimasi un attimo interdetto: ero preparato a sentirmi dire una cifra, superiore a quella della precedente fornitura, ma il gentile signore era nostro fornitore da una vita e sapeva benissimo cosa ci poteva servire e avrebbe fatto il solito lavoro di ottima qualità; e non c’era alcun bisogno di discutere di nulla, nemmeno del prezzo perché avrebbe comunque praticato le migliori condizioni per mio papà che era contemporaneamente suo cliente e suo fornitore. In effetti non c‘era alcun bisogno di discutere di nulla e la ditta Zipo avrebbe lavorato benissimo come sempre. Mi accorsi che la pausa lasciava capire all’interlocutore che mi aveva “toccato” e dovevo per forza controbattere in brevissimo tempo per far capire che avevo la situazione sotto controllo. Così per riguadagnare il contatto sparai subito il secondo argomento.

-          Ah… giusto. E… quanto tempo ci vuole per avere mille fatture?

-          Eh, il suo tempo!

Orca, DI NUOVO! Il diabolico vecchietto mi aveva steso un’altra volta. Adesso ero nei guai e compresi che NON avevo la situazione sotto controllo e sapevo anche che il mio interlocutore lo sapeva e si stava divertendo… aveva capito che aveva a che fare con il novellino della ditta. In fin dei conti quello che mi diceva era in pratica che avrebbe fatto il solito lavoro al solito prezzo, che non avrei potuto minimamente discutere di null’altro e che in capo a dieci giorni avrei avuto le mie solite fatture. Capitolai e rinunciai a discutere di prezzi e sconti, tanto chi aveva in mano la situazione era LUI e non io. Vabbè, tutta esperienza… le esperienze costano molto in termini di imbarazzo, i primi tempi, ma al telefono non si sarebbe notato che ero arrossito.

-          Ah. Va bene allora, signor Zipo (e non si chiamava nemmeno Zipo, non mi ricordavo il suo cognome ma ormai volevo solo riappendere il telefono nel più breve tempo possibile). Allora mi dà un colpo di telefono quando sono pronte?

-          Come al solito, gliele porto io appena stampate, signor C.

-          Grazie, allora. Arrivederla.

-          Arrivederla, mi saluti il papà.

E riappesi la cornetta.

Andai di là in officina e rapportai a mio papà il perfetto esito dell’ordinazione. Fui molto vago alla domanda di mio papà su quanto ci avesse chiesto Zipo per la fornitura, e stranamente mio papà lasciò correre; sapeva che Zipo non ci avrebbe fornito roba scadente e che il prezzo sarebbe stato estremamente vicino a quello dell’anno scorso, ma ribadì il concetto che era mio dovere svolgere la trattativa in maniera corretta richiedendo espressamente il nuovo prezzo, confrontarlo con quello precedente e tentare in ogni caso di ottenere uno sconto, accettando ovviamente di non ottenerlo se il fornitore si fosse lamentato della congiuntura, della crisi economica, del rincaro della carta e degli inchiostri e della caduta di meteoriti sulla sua tipografia.

Insomma, non si diventa imprenditori dall’oggi al domani… serve la dura esperienza. Ma la cosa che mi preme sottolineare è come nel 1983 fosse ancora in pratica l'uso della forma del "lei" anche tra persone di età molto diversa. L'anziano artigiano stampatore era nei miei confronti estremamente professionale e rispettoso e io naturalmente ero stato addestrato a trattare con fornitori e clienti sempre con il lei... e talvolta, con alcune figure di eccellenza, avrei anche forse dovuto usare il "voi" come segno di umiltà.

Altri tempi, ma altra educazione, che rimane in chi la esercita da giovane.





Ecco, per oggi sono tornato indietro di quasi trent'anni (come passa il tempo!)





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